venerdì 28 ottobre 2016

L'arte multicanale di Masha

Qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio su Twitter. Niente di nuovo, penserete: i soliti spam o una chat pseudo-porno. E invece no, era di una ragazza tedesca che timidamente promuoveva il sul lavoro.

Oggi la musica arriva anche così, attraverso un cinguettio o con un'immagine postata su Instagram.
La fruizione diventa multisensoriale e multidisciplinare; prima delle note giungono parole ed immagini che rimandano ad altro, in questo caso ad un brano musicale, creando quella cornice spazio-tempo che racchiude e valorizza il messaggio artistico finale.  

L'uso della multicanalità, mutuata dal marketing, consente di raggiungere in maniera autonoma, quindi senza il condizionamento della tradizionale rete di promozione e distribuzione, un'utenza potenziale notevolmente ampia e, allo stesso tempo, consente di ridefinire le coordinate di spazio e tempo, ottimizzandole in virtù del prodotto artistico che si intende veicolare. 

Questa è la strada che sta percorrendo Masha Potempa. Nata a Duisburg nel 1989, cresce tra le miniere della Ruhr e la regione del Basso Reno. Quando non suona la fisarmonica, il pianoforte o la chitarra, mostra la sua vena artistica attraverso l'obiettivo della macchina fotografica.

Nel 2015 ha pubblicato per l'etichetta indipendente Phonector, l'EP Rauchschwalben am Horizont, quattro poesie messe in musica dal tono nostalgico ma illuminate da lampi di luce provenienti da lontano, dalle esperienze fatte all'estero, dalla voglia di sognare. Alla tradizione musicale mitteleuropea e baltica, mescola l'ecletticità e l'audacia della scena berlinese, dove vive e lavora da qualche anno.  

Masha è tra i tanti artisti che hanno invaso la rete, sfruttandone l'estrema fruibilità, ma che rischiano continuamente di esserne risucchiati alla velocità di un clik; l'effetto meteora è così rapido che neanche il peso di contenuti artisticamente rilevanti, riescono a frenarne la corsa.
Ma forse per lei non sarà così. 








mercoledì 26 ottobre 2016

Lucas Debargue: un talento, per ora.


C’è un giovane pianista che sta scalando la vetta dell’olimpo musicale ad una velocità vertiginosa. Si tratta di Lucas Debargue, consacrato, sebbene non vittorioso, al 15° Concorso Internazionale Tchaikovsky, che si tiene a Mosca ogni quattro anni (in pratica i mondiali della musica classica), dove "il suo dono incredibile, la visione artistica e la libertà creativa, hanno impressionato i critici ed il pubblico"
Prova ne è il fatto che, immediatamente dopo il Concorso, firma il suo primo contratto con la Sony Classical per la quale registra un recital dal vivo in occasione del suo debutto.


Nasce a Parigi nel 1990 da una famiglia di "non musicisti". Nel 1999 si stabilisce a Compiègne, a circa 90 chilometri a nord della capitale francese, dove, all’età di 11 anni, inizia lo studio del pianoforte presso la locale scuola di musica. Intorno ai 15 anni, però, Lucas smette di suonare il pianoforte perché frustrato dal non riuscire a trovare un maestro in grado di valorizzare il suo talento. Dopo un paio di anni si ritrova a fare rock con gli amici per il puro gusto di fare musica e niente di più.

Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di Arti e Letteratura dell’Università Diderot a Parigi e, inspiegabilmente, per circa tra anni smette completamente di suonare il pianoforte. E’ nel 2010 che, invitato al festival Fête de la Musique a Compiègne, ritorna a sedersi alla tastiera. Viene messo in contatto con la celebre insegnante russa Rena Shereshevskaya che lo segue al Conservatorio di Rueil-Malmaison e poi all'École Normale de Musique “Alfred Cortot” di Parigi, dove si prepara per le grandi competizioni internazionali.

Quindi, è solo nel 2010 che inizia a studiare formalmente pianoforte e, appena quattro anni più tardi, viene ammesso a partecipare al Concorso Tchaikovsky, dove nel 2015 si classifica quarto. Ma il suo talento non passa certo inosservato: "Non c'è stato un pianista straniero che ha suscitato tanto scalpore quanto l'arrivo di Glenn Gould a Mosca, o la vittoria di Van Cliburn al Concorso Tchaikovsky", si legge su The Huffington Post.

Oggi Lucas Debargue è consapevole del proprie capacità, ora che disciplina e concentrazione gli consentono di andare oltre il talento e la naturale espressività musicale. Non considera gli anni trascorsi lontano dal pianoforte uno spreco di tempo né si sente in obbligo di doverli in qualche modo recuperare. Non ha mai cercato il palcoscenico e potrebbe farne a meno domani. A guidarlo è la "voce della natura", come definisce la musica, che gli consente di interpretare i grandi autori un gradino oltre il puro stile accademico.     

Per la Sony Classical ha pubblicato due album: il primo, a marzo di quest’anno, con brani di Scarlatti, Chopin, Liszt e Ravel, il secondo, uscito lo scorso settembre, con brani di Bach, Beethoven e Medtner
Le sue esecuzioni mostrano una notevole padronanza tecnica ed una grande espressività. Colpiscono, in lui l’innata spontaneità e la sfrontatezza quasi presuntuosa nell'eseguire i grandi classici, emblema di un vero talento.



lunedì 24 ottobre 2016

La musica che non c'è: lieder e ballate tra cielo e terra.

In epigrafe all'ultimo libro di Luciano Ligabue si legge:
"Chi prende in mano un violino, o qualunque altro strumento musicale, compie un gesto di speranza che comporta il desiderio di un futuro".
 Questa frase costituisce il punto di snodo del romanzo "La ballata di Adam Henry" dello scrittore britannico Ian McEwan.  
Si tratta della storia di un "quasi diciottenne", gravemente malato, e di una donna, giudice dell'Alta Corte britannica, chiamata a decidere sul suo futuro, in equilibrio sulla sottile linea di demarcazione che separa giustizia e legalità, etica e religione.
Il giovane, a pochi mesi dal compiere il diciottesimo anno di età, è figlio di una coppia di Testimoni di Geova, educato ed indottrinato secondo le più rigide regole religiose. Affetto da una rara forma di leucemia, i medici lo sottopongono ad un protocollo terapeutico che include un'emotrasfusione, che il ragazzo, spalleggiato dai genitori, rifiuta categoricamente, timoroso di mescolare il proprio sangue a quello di altri, pratica esplicitamente vietata, secondo il proprio credo, nella Genesi, nel Levitico e negli Atti.  
Ma il giovane, anche se per pochi mesi ancora, non è maggiorenne, quindi la struttura ospedaliera chiede l'intervento del giudice Fiona Maye, allo scopo di ottenere l'autorizzazione a procedere coercitivamente alla trasfusione. 
La vita di lei è segnata dall'ideale mancato di una carriera da pianista; ogni rumore, ogni suono, ogni richiamo le portano alla mente brani, eventi, autori in cui trovare rifugio dalle sofferenze altrui e personali su cui è obbligata a decidere nel suo ruolo di rappresentante della legge e di moglie in crisi.
In una stanza d'ospedale, attratta da un archetto, Fiona ottiene dal giovane una dimostrazione dei suoi progressi di neofita del violino, prima solo ed incerto, poi, rassicurato dalla voce di lei, sicuro e spigliato. 
Eseguono insieme il canto tradizionale irlandese basato sulla poesia di William Yeats "Nel Bosco dei Salici":
"Incontrai sulla riva del fiume il mio amore che, lieve, sulla spalla mia stanca appoggiò la sua mano di neve. Come l'erba è la vita, prendila come viene; ma ero giovane e sciocco e ora il pianto è il mio unico bene". 
L'opera è un continuo richiamo a riferimenti musicali, citazioni, titoli ed autori, classici e jazz che costituiscono una sound track immaginaria che si incastona perfettamente nella narrazione, che da corpo e spessore ai personaggi, che ne traccia il profilo psicologico e li mette e nudo. 

Le aree di Bach, i lieder di Schubert, Jarrett e Monk, Les nuits d'été di Berlioz, Ich bin der Welt abhanden gekommen di Mahler sono l'essenza intima del giudice Fiona Maye, di suo marito accademico, del giovane Adam.

Ma, soprattutto, cristallizzano ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero essenziale per districarsi nelle vicende giuridico-sentimentali dei personaggi. Senza questo immaginifico sottofondo musicale, il testo risulterebbe mancante della necessaria profondità, quasi superficiale nel tratteggiare le figure. Riportare continuamente alla mente brani, generi ed autori, contribuisce a dare corpo all'opera, a renderla completa, coinvolgente ed in qualche modo multisensoriale.
  
    

  

venerdì 21 ottobre 2016

La pavana di Kuhn

Mi è capitato di ascoltare, pochi giorni fa, una versione jazz del brano composto da Cajkovskij per musicare il "Lago dei Cigni", celeberrimo balletto della seconda metà del diciannovesimo secolo.
Ad eseguirla era il pianista Steve Kuhn in Trio con il bassista David Finck ed il batterista Billy Drummond.
Kuhn, newyorchese del 1938, vanta nel suo palarès la militanza, nel 1960, nel John Coltrane Quartet
Il brano è tratto dall'album Pavane For a Dead Princess, pubblicato per la Venus Records nel 2006.
E' facile intuire che si tratta della rilettura in chiave jazz di alcuni noti titoli del repertorio classico.
Ne risulta un lavoro estremamente sofisticato, mai eccessivo, assolutamente non retorico, elegante e delicato all'ascolto.


giovedì 20 ottobre 2016

L'affaire Dylan

Prendiamo Dylan, per esempio.
Com'è arrivato a noi e com'è arrivato a meritarsi, o meno, il premio Nobel per la Letteratura?
Viene da un periodo in cui non c'erano facebook o twitter, non c'erano internet, youtube o spotify.
E allora com'è arrivato alle nostre orecchie e al nostro cuore?
Come abbiamo imparato a fruire della sua arte e dell'arte di tutti quelli vissuti in era pre-media?


In quegli anni, all'inizio della seconda metà del secolo scorso, chi iniziava a fare musica non lo faceva per ottenere like e visualizzazioni (almeno non proprio tutti), ma perché, in varie forme e stili, aveva qualcosa da dire, aveva voglia di esprimere la propria opinione. I "canali" erano pochi e bisognava accontentarsi della cantina, del locale di provincia e, da "grandi", della radio locale.
Con questi mezzi per arrivare lontano dovevi avere necessariamente qualcosa di buono da dire o da far sentire.
Quindi, dopo oltre mezzo secolo di carriera, cosa e come è arrivato a noi di Bob Dylan?
E' arrivato il messaggio, l'idea, il pensiero di cui lui e la sua arte, si sono fatti latore. Questo non fa di lui un letterato come non fa di lui un musicista, ma, semplicemente, un artista.
O meglio: egli stesso è ARTE.
E in quanto arte non potrà mai rispondere al telefono.
   

mercoledì 19 ottobre 2016

PERCHE'?

Quanta musica ci circonda, quanta ne ascoltiamo, quanta ne scegliamo e quanta ne subiamo.
Non ne possiamo fare a meno ma, a volte, ci infastidisce, quasi ci aggredisce.
Ci raggiunge dappertutto, anche quando potremmo o vorremmo evitarlo.
La amiamo perché ci aiuta a pensare o, volendo, a non pensare.
I canali attraverso i quali giunge alle nostre orecchie, al nostro cuore, alla nostra pancia, sono infiniti, anche contro la nostra volontà o nonostante la nostra volontà di discernimento.

Quindi, PERCHE'?
Perché la amiamo?
Perché la ascoltiamo?
Perché non possiamo farne a meno? 


Proviamo a capire da dove arriva e dove finisce.